Un giorno,
ero già un appassionato velista senza barca, decisi che la mia
disponibilità di tempo libero non permetteva di possedere una barca di
6 o 7 metri , magari anche solo al lago, i costi poi erano altissimi;
Decisi quindi di costruirne una piccola che non avesse problemi di
burocrazia, tasse e ingombri.
Sfogliando Bolina, noto la pubblicità della BCA Demco Kit, che dice di
vendere progetti per barche.
Faccio spedire il catalogo con i progetti, poi, non comprendendo bene
dai disegni cosa si addiceva al mio caso, venni a sapere, da Paolo
Lodigiani, titolare della BCA, che la Domenica successiva si sarebbe
svolta una regata di 10’, non ricordo neppure dove.
Andai, con la moglie, mia consulente e designer di tutte le opere che
realizzo, e lei decise che quella barchetta la in fondo, con fiocco e
randa, era la più elegante di tutte.
Chiesi lumi ai presenti e mi sentii rispondere che si trattava del
Moscerino, un progetto di Ratti-Spreafico, datato ma ancora valido.
Aveva proprio la parvenza di una barca inglese, belle forme, linea
classica, decisi che sarebbe stata la mia barca.
A Settembre del 2000 D.C., uscendo dalla Fiera di Milano, mi faccio una
bella camminata e raggiungo la sede della BCA, dove acquisto i piani del
Moscerino, tre fogli A3 senza spiegazioni.
Chiedo lumi al paziente Paolo, che mi illumina sui dettagli progettuali
(come la “tavola Regina”, di cui non avevo mai sentito parlare),
poi, alternativamente, stresso il buon Guido Ratti, progettista e
realizzatore di diversi Moscerini.
Non vi è come vedere dal vero una cosa per capire come la devi fare,
cosa migliorare e quali tecniche mettere a punto.
Di qui la ricerca dell’abete rigatino, che tutti dicono non esistere,
perché le piante “hanno i nodi”, fino a trovare, da una segheria
che fornisce legni per liutai ed ebanisti, una partita di Cedro Rosso
Canadese, detto anche Western Red Cedar, una pianta del Nord America,
che cresce altissima e ha fronde solo nella parte alta del fusto,
lasciando un tronco con fibre drittissime e senza nodi.
Quando poi, mi viene detto, che è imputrescibile all’acqua e
resistente agli insetti Silofagi, oltre a pesare molto meno
dell’abete, non ho più dubbi, ne acquisto 4 travi da 4,5 mt,
superstagionate, chiudendo gli occhi sul prezzo (4.000.000 L./m3),
400.000 lire di legname, ai tempi della buona Lira, chissà adesso con
l’Euro.
Spedizione alla Nord compensati, per il CM di Okumè da 5mm., circa
80.000 lire al foglio, 3 fogli, per fortuna le parti in 10 e 15 mm. Le
riesco a fare con del CM che mi viene donato da un amico, che ha un
amico in un cantiere brianzolo di Yacht a motore, per loro certe
pezzature sono scarto di lavorazione.
Documentatomi alla BCA, decido di utilizzare la resina epoxy West
System, costosissima ma indubbiamente la migliore resina che mi sia
capitato di usare, nessun odore sgradevole, durezza superficiale
eccezionale, tempi di lavorabilità lunghi (con indurente lento), anche
se poi, in ultimo, usai un Kg. Di Veneziani Resina 2000, che con i
dosatori a pompa rese la vita più semplice.
Guido Ratti si offrì di tracciarmi i fogli di CM con delle dime che lui
possedeva, ma mi dissi che anche la tracciatura era parte del godimento,
poi io ho sempre amato il disegno tecnico.
Ginocchia come zampogne a stare sempre piegato per tirare le righe, poi
tutti i chiodini e il listello flessibile per tracciale le curve dei
semiscafi, la miriade di forellini per la legatura con il filo di rame.
Ricordo ancora quando, dovendo aprire e dare forma ai due semiscafi,
chiamai un amico e gli dissi….cosa fai stasera ? Ho mia madre a cena,
perché ? Peccato, mi serviva una mano per aprire gli scafi e mettere in
posa lo specchio di poppa…….a ma se è per cose così importanti
basta dirlo, a che ora devo essere li ? pensare che la mia barca era,
per lui, più urgente della Mamma, ancora oggi mi commuove.
E poi le prime resinate, le nastrature con tessuto di vetro, le
cordonature, l’emozione di vedere, il giorno dopo, che il tutto aveva
una consistenza fantastica, ispirava sicurezza.
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Il
tocco di classe è stato il chiudere i buchi dove si vedono le teste
delle viti, con dei piccoli dischetti di piallaccio di mogano,
volutamente più scuro dell’Okumè, così da evidenziare il dettaglio.
Messa in posizione la cassa di deriva con i suoi tre listelli di seduta,
l’interno era ormai pronto.
Girata la barca e levigato bene lo scafo, ho dato due mani di epoxy, poi
una mano di fondo epoxy e due mani di poliuretanica bicomponente Blu,
preceduta da una fascia bianca, poco sotto la falchetta, sulla quale è
stato posizionato del nastro da carrozziere da venti millimetri, così
che togliendolo, dopo le mani di blu, lasciava una bella linea bianca,
molto “Inglese”.
Fissata la ferramenta, andando un pochino a tentoni, in quanto non vi
era un piano preciso su cui fare riferimento, andai dal velaio a
commissionare Randa (4,8 Mq.) e Fiocco (1,2 Mq.)
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Col
fiocco autovirante la barca non voleva saperne di andare dove volevo io,
quindi, tornato a casa, cominciano le modifiche….via l’autovirante,
fai un bompresso, la vela sempre più fuori, poi sempre più grossa,
sino a diventare troppo poggiera; Poi le prove con derive diverse, e le
pale dei timoni, più sottili e profonde, ma è tutto sbagliato, quindi
ritorno a deriva e timone originale.
Sono anche stato bloccato con la schiena per un lungo tempo, quindi feci
il timone che si muoveva con una pedaliera, io stavo sdraiato tipo
Formula 1 dentro la barca, ma di bolina era un’impresa, non potendo
sbilanciarmi all’esterno.
Dopo tre anni di sofferenze, finalmente , nel 2004, con il fiocco
fissato sul muso a prua, l’arretramento dei punti di scotta del
fiocco, le sartie che irrigidiscono l’albero e non fanno fare
catenaria al fiocco, la barca comincia ad andare, stringe la bolina,
accelera bene e di colpo, con tre regate, siamo a metà della
classifica.
Ora non vedo l’ora di iniziare il nuovo anno, conscio di non poter
dare la birra ai primi, ormai imprendibili sui loro multiscafi, ma con
la certezza che a poppa della mia barca, non saranno pochi quelli che
dovranno accontentarsi dei rifiuti della mia randa.
Nel progetto del Moscerino, l’armo è alla Portoghese, con un picco di
2,5 mt. Che si sovrappone in verticale all’albero di 3,5 mt., molto
bello da vedersi, utile perché permette di terzarolare la randa, ma per
nulla redditizio nei confronti di un tubo di alluminio, anche leggero,
con due sartiale (sempre per la catenaria).
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Quindi
se vi accingete alla realizzazione di questo scafo e non disponete di
tempo, l’alberatura fatela in metallo, pesa uguale e si costruisce in
un baleno.
Io feci un albero in alluminio con dei pali da 60 mm, che costituivano
l’ossatura di un deltaplano precipitato , li produce la “Mouet”,
in Francia, sono leggerissimi, entrano uno nell’altro con precisione,
quindi si possono distribuire gli sforzi aumentando lo spessore mentre
si scende verso la mastra.
Peccato che quel diametro entra un poco forzato nelle tasche della vela,
quindi , a volte, la randa non si dispone in modo aerodinamico rispetto
all’albero.
Per la stagione 2006, vorrei realizzare qualcosa di accattivante e
prestazionale, quindi non stupitevi se durante le regate 2005 mi vedrete
appostato dietro i cespugli con la macchina fotografica, rubando segreti
di altri regalanti.
Concludo invitando gli aspiranti costruttori a provarci, la gioia di
vedere una barca fatta con le proprie mani è seconda solo a quella di
mettere al mondo un figlio.
Dicembre
2004, Luigi Chirico
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